STUDIO LEGALE

Avv. STEFANO COMELLINI

BOLOGNA

 

 

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Diffamazione sul Web:

incastrato dall'indirizzo IP (e dal movente)

 

 

Con la recentissima sentenza n. 8275, pubblicata il 29 febbraio 2016, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di “diffamazione” on line (e sulla individuazione dell'autore).

 

Diffamazione commessa, tramite pubblicazione di uno scritto sul blog di un quotidiano, da un soggetto, già orchestrante di un teatro siciliano, nei confronti del sovrintendente e riguardante vicende di quel teatro.

 

La Corte d’Appello di Catania attribuiva la paternità dello scritto all’orchestrante sulla base del movente, rappresentato dalla conflittualità tra i due soggetti, e dalla provenienza del messaggio individuata dall’indirizzo IP dell’utenza telefonica dell’abitazione dell’imputato. La Corte d’Appello riteneva inidonea l’ipotesi, avanzata dalla difesa, di un furto di identità, cioè che un terzo avesse sfruttato la rete wireless dell’imputato per postare lo scritto diffamatorio.

 

La Cassazione, nel confermare la sentenza di condanna, rammenta come già il giudice di merito aveva concluso che le vicende personali tra i soggetti erano idonee a creare tensioni tra i due e, dunque, desideri di rivalsa nell’imputato. Tema del “movente”, comunque, che, nella prospettazione accusatoria “è solo rafforzativo di quello dell’uso dell’IP collegato all’utenza telefonica dell’imputato”.

 

Argomento, quello dell’indirizzo IP - afferma la Suprema Corte - “tranchant giacchè idoneo all’individuazione della provenienza dello scritto postato sul blog, che non può essere scalfito dalla possibilità, tanto ipotetica ed inverosimile da essere addirittura irreale … del c.d. furto di identità da parte di un terzo del tutto imprecisato … che si sarebbe appostato nei pressi di casa (dell’imputato) nel primo pomeriggio di un giorno di luglio, per sfruttare la rete wireless in un orario in cui presumibilmente, secondo il ricorso, nessuno nell’abitazione stava operando al computer”.

 

In sostanza, le tesi difensiva del c.d. furto d’identità non è servita a fare breccia nei giudici: c’era un movente (un'accesa conflittualità tra le parti) in grado di rafforzare la prova dell’indirizzo IP utilizzato (collegato all’utenza telefonica domestica dell’imputato).

 

(Corte di Cassazione, sezione V penale, sentenza 29 ottobre 2015 - 29 febbraio 2016, n. 8275)

 

 

(8 marzo 2016)

 

 

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