STUDIO LEGALE

Avv. STEFANO COMELLINI

BOLOGNA

 

 

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Non mi paghi le fatture? E io lo scrivo su Facebook

e il Tribunale mi dà ragione. Però …

 

 

Una interessante ordinanza del Tribunale di Roma  (il testo su: http://www.lidis.it/wp-content/uploads/2015/09/Ordinanza-art-21-trib-roma.pdf)  è recentemente balzata all’attenzione dei giuristi (anche per l’applicazione, probabilmente per la prima volta, dell’art. 21 della Costituzione alle manifestazioni di pensiero in rete).

 

A fronte della richiesta (avanzata da un imprenditore ”inadempiente”) di rimozione dei contenuti, postati in vari Social network (tra cui Facebook) e Blog (dove il creditore informava del mancato pagamento dei propri crediti), perché ritenuti diffamatori ed offensivi della propria reputazione commerciale, il Tribunale non solo ha respinto la domanda di rimozione ma ha anche condannato il richiedente (cioè il debitore) al pagamento delle spese legali.

 

Secondo il Tribunale, infatti, le dichiarazioni postate costituiscono espressione del diritto di libera manifestazione del pensiero, sancito dall’art. 21 della Costituzione, rappresentando - la divulgazione di uno scritto via internet - estrinsecazione del legittimo diritto di cronaca e critica”.

 

Sempre secondo il Tribunale, per giurisprudenza consolidata affinché la divulgazione di notizie o commenti asseritamente lesivi dell’onore e della riputazione di terzi "possano considerarsi lecito esercizio del diritto di cronaca / critica” devono ricorrere le seguenti tre condizioni (tutte ritenute sussistenti nel caso esaminato): verità dei fatti esposti; interesse pubblico alla conoscenza del fatto; correttezza formale dell’esposizione (cioè le opinioni espresse non devono indulgere in accostamenti suggestivi e in espressioni inutilmente offensive e volgari).

 

Il provvedimento del Tribunale di Roma è estremamente interessante.

Tuttavia, tenendo conto degli interventi della Cassazione e del Garante della Privacy in tema di morosità e “tutela della privacy”, per evitare generalizzazioni e facili entusiasmi per un eventuale (ma del tutto improprio) utilizzo dei social network come "strumento" di giustizia "fai da te", è bene rammentare anche la recente sentenza n. 12695/2015 della Cassazione Penale, secondo la quale:

 

“Commette il reato di Diffamazione il creditore che carica un contributo sulla rubrica "Facce da schiaffi" di YouTube precisando di "dedicarlo" al proprio debitore, indicando nome e cognome dello stesso e qualificandolo come "figlio di .... che non mi ha pagato una fattura" e "brutto sacco di ...." 

 

 

(29 novembre 2015)

 

 

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